AMMINISTRATORE
DI CONDOMINIO
NOMINA
La
nomina dell’amministratore è obbligatoria, ai sensi dell’art. 1129
c.c., quando i condomini sono più di quattro. L’articolo in questione
è inderogabile come previsto dall’ultimo comma art. 1138 c.c., sicché
non sono ammissibili clausole regolamentari o patti sottoscritti
all’unanimità dai condomini, che modifichino i principi voluti dal
legislatore.
Modalità
e criteri per la nomina
La
nomina dell’Amministratore spetta, per volontà del legislatore,
all’assemblea in considerazione della particolare importanza e della
delicatezza delle funzioni svolte da tale organo.
Venendo
ad esaminare il procedimento per la nomina occorre riferirsi anzitutto
all’art. 66, II° co., disp. att. c.c., il quale dispone che in mancanza
dell’amministratore l’assemblea può essere convocata da ciascun
condomino. L’avviso di convocazione, recante all’ordine del giorno in
maniera specifica la nomina dell’amministratore, deve essere comunicato
agli aventi diritto almeno cinque giorni prima della data stabilita per
l’adunanza (art. 66, ultimo comma, c.c.; art. 1136, VI° co., c.c.).
La
giurisprudenza ha ritenuto che la nomina dell’Amministratore rientri
nell’ordinaria amministrazione dell’edificio, per cui la convocazione
deve essere indirizzata all’usufruttuario del singolo piano o porzione
di piano e non al nudo proprietario (Cass. n. 124/1978).
In
questo senso, lo stesso art. 67, III° co., disp. att. c.c., riconosce
all’usufruttuario il diritto di voto negli, affari riguardanti
l’ordinaria amministrazione e il semplice godimento delle cose e dei
servizi comuni, mentre attribuisce tale diritto al proprietario in ordine
alle innovazioni, ricostruzioni, opere di manutenzione straordinaria delle
parti comuni.
Circa
le modalità di svolgimento dell’assemblea non si pongono problemi
particolari e come primo atto dovrà procedersi alla nomina del presidente
e di un segretario. La maggioranza necessaria per la nomina del nuovo
amministratore è costituita da un numero di voti che rappresenti la
maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio
(art. 1136, II° co., c.c.).
Se
l’amministratore designato dall’assemblea è presente, non si pone la
necessità della comunicazione, che va effettuata dal presidente
dell’assemblea soltanto in caso di assenza del nominato. Questione
delicata stabilire se la nomina dell’Amministratore sia subordinata
quanto alla sua efficacia all’accettazione.
Al
riguardo si può condividere la soluzione, partendosi dalla qualificazione
del rapporto amministratore-condominio in termini di mandato, che una
accettazione sia necessaria.
L’accettazione,
tuttavia, può essere espressa (ad esempio per lettera o contenuta nello
stesso verbale assembleare) oppure tacita quando l’amministratore
nominato inizi la gestione del condominio, ricevendo dall’amministratore
uscente il passaggio delle consegne.Qualora in sede di deliberazione
assembleare sia stato indicato un termine per l’accettazione e questa
non sia intervenuta, si deve intendere l’incarico rifiutato.
Altra
questione in tema di nomina dell’amministratore riguarda la sussistenza
di particolari formalità da parte dell’assemblea e ciò soprattutto in
relazione all’art. 1129, I° co. c.c., già richiamato, a norma del quale “quando i condomini sono più di quattro, l’assemblea
nomina un amministratore ”.
La
figura giuridica dell’amministratore è assimilabile a quella del
mandatario con rappresentanza, il quale agisce in base ad un preciso
conferimento di incarico affidatogli dalla assemblea nella veste di
mandante.
La
durata dell’incarico
L’art.
1129, II° co. c.c. dispone che “l’amministratore dura in carica un
anno e può essere revocato in ogni tempo dall’assemblea”. La norma,
per il richiamo operato dall’art. 1138, ultimo comma c.c., è
inderogabile anche per l’aspetto della durata annuale dell’incarico.
L’art.
1129 c.c. prevede nomina e revoca dell’amministratore e non accenna alla
conferma, che viene presa in considerazione dall’art. 1135, I°
co. c.c., nell’ambito delle attribuzioni dell’assemblea dei condomini.
La
conferma ha, comunque, i caratteri di una nuova nomina. La differenza tra
i due atti può essere rinvenuta, quindi, non in un dato sostanziale, ma
esclusivamente formale ed estrinseco concernente la persona fisica, che
nel caso della conferma coincide con la persona già in precedenza
nominata, mentre nel caso di nomina “ex novo” è diversa.
Per
la conferma si richiede la deliberazione dell’assemblea dei condomini da
adottarsi con le maggioranze prescritte per la nomina ai sensi dell’art.
1136, IV co., c.c. .
La
“prorogatio ” (o proroga dei poteri) si verifica quando
l’amministratore, cessato dall’incarico per decorrenza del termine
legale o per dimissioni, continua ad esercitare i propri poteri per
assicurare la gestione e la rappresentanza del condominio. In questo caso
la situazione è provvisoria e si protrae fino a quando l’amministratore
cessato non sia sostituito da parte dell’assemblea o del giudice (Cass.
n. 3588/1993; Cass. n. 7256/1986). Durante la gestione interinale
l’amministratore deve provvedere all’adempimento delle incombenze e
delle attribuzioni previste dall’art. 1130 c.c., e così a riscuotere i
contributi condominiali e ad erogare le spese occorrenti per la
manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per
l’esercizio dei servizi comuni, compreso quello di portierato (Cass. n.
3588/1993), non potendosi occupare di atti straordinari.
L’Amministratore,
continuando ad esercitare i suoi poteri, sia pure ad interim, mantiene il
suo diritto a ricevere compenso, secondo i criteri stabiliti per il
periodo precedente (Cass. n. 2214/1976).
La
proroga dei poteri non è ravvisabile, quando risulti una volontà dei
condomini, espressa con delibera condominiale, contraria alla
conservazione dei poteri di gestione da parte dell’Amministratore
cessato dall’incarico (Cass. n. 1445/1993).
LA
CESSAZIONE DELL’INCARICO
La
rinuncia
L’amministratore
può rinunciare all’incarico prima della scadenza del mandato. Le
dimissioni non richiedono giustificazioni, potendo l’amministratore
addurre sia ragioni di carattere personale sia ragioni di opportunità, in
relazione ad esempio alla continua litigiosità dei condomini che non
consentono un sereno svolgimento della gestione.
Per
consolidata giurisprudenza l’amministratore cessato, e quindi anche
quello dimissionario, deve continuare a esercitare le proprie funzioni
finché non viene sostituito (Cass. n. 2214/1976; Cass. n. 572/1976).
La
revoca da parte dell’assemblea
L’art.
1129 c.c. al II° comma disciplina la revoca dell’amministratore da
parte dell’assemblea, mentre al terzo comma si occupa della revoca da
parte dell’autorità giudiziaria.
Entrambe
le ipotesi di revoca hanno il loro fondamento nel venir meno del rapporto
di fiducia che deve sussistere tra Amministratore e assemblea.
Per
quanto l’art. 1129 prevede la facoltà dei condomini di revocare, in
ogni tempo l’amministratore, in realtà,
la
revoca/nomina dello stesso può avvenire solo in sede di assemblea
ordinaria.
Infatti,
l'art. 66 disp. att. c.c. prevede che “l’assemblea, oltre che
annualmente in via ordinaria per le deliberazioni indicate dall’art.
1135 c.c., può essere convocata in via straordinaria
dall’amministratore quando questi lo ritiene necessario o quando ne è
fatta richiesta da almeno due condomini che rappresentino un sesto del
valore dell’edifici”. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla
richiesta, i detti condomini possono provvedere direttamente alla
convocazione. L’art. 1135 c.c. punto 1, invece, prevede che “l'assemblea
dei condomini provvede alla conferma
dell'amministratore e all'eventuale sua retribuzione”
Dal
combinato disposto degli articoli sopraesposti si evince che
l'amministratore non può essere revocato o nominato in un assemblea
straordinaria, ma, si ripete, potrà esserlo solo in un'assemblea
ordinaria.
Quindi,
salvo trattasi di revoca giudiziaria, la revoca da parte dell’assemblea
non può che coincidere con la scadenza del mandato dell’amministratore.
La
revoca da parte dell’Autorità Giudiziaria
Diversamente,
l’amministratore può essere revocato dall'Autorità Giudiziaria su
ricorso di ciascun condomino se per due anni non ha reso il conto
della sua gestione, se vi sono fondati sospetti di irregolarità e se per
un procedimento giudiziario che esorbita dalle sue attribuzioni non ne da
notizia all'assemblea.
Per
quel che riguarda il procedimento di revoca la relativa istanza va rivolta
da uno o più condomini al Tribunale, che decide in Camera di Consiglio
con decreto motivato, sentito l’Amministratore (Cass. n. 849/1967).
Avverso il provvedimento di revoca può essere preposto reclamo alla Corte
di Appello nel termine di dieci giorni dalla notificazione (ari. 64, disp.
att. c.c.).
Altri
fatti estintivi
La
cessazione dell’incarico di amministratore può derivare, oltre che
dalle cause già esaminate, dalla morte dello stesso amministratore e
dalla sopravvenuta incapacità di agire conseguente all’interdizione o
inabilitazione.
LE
ATTRIBUZIONI DELL’AMMINISTRATORE
Profili generali
L’art.
1130 c.c. disciplina con una norma di carattere generale le “
attribuzioni ” dell’amministratore le quali
comprendono
da un lato doveri e dall’altro poteri e facoltà connessi
all’espletamento dell’incarico.
Salvo
eventuali ampliamenti delle attribuzioni per espresso volere del
regolamento o di apposita delibera assembleare, le attribuzioni di cui
all’art. 1130 sono le seguenti:
-
eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini e curare
l'osservanza del regolamento di condominio;
-
disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi
nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il migliore godimento
a tutti i condomini;
-
riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione
ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi
comuni;
-
compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni
dell'edificio.
Nell’ambito
dei poteri in via generale si può aggiungere che l’art. 1131 c.c.
riconosce all’Amministratore la rappresentanza sostanziale dei
partecipanti al condominio e quella processuale sia nei confronti dei
terzi sia nei confronti dei condomini. La stessa norma dispone che
l’Amministratore può essere chiamato in giudizio da terzi per qualsiasi
azione concernente le parti comuni.
Da
un esame sempre generale delle attribuzioni specificate dall’art. 1130
c.c. si deduce che le funzioni riguardano l’ordinaria amministrazione.
Per quanto concerne gli atti di straordinaria amministrazione, in linea di
principio, non possono essere compiuti dall’amministratore, a meno che
non sussista una espressa delega da parte dell’assemblea o non ricorrano
i presupposti dell’urgenza, con obbligo in quest’ultimo caso di
riferirne all’assemblea (Cass. n. 4232/1987).
LA
RAPPRESENTANZA DELL’AMMINISTRATORE
Il
potere di rappresentanza dell’amministratore è contenuto nei limiti
delle attribuzioni previste dall’art. 1130 c.c., ossia si riferisce alle
parti e servizi comuni nonché alle controversie riguardanti i beni
comuni. Le funzioni di rappresentanza dell’amministratore non riguardano
perciò le posizioni soggettive e i correlativi interessi di pertinenza
dei singoli condomini, sicché l’amministratore non può occuparsi della
proprietà esclusiva di un condomino e non può essere investito delle
relative controversie.
Il
sistema che si delinea consiste, pertanto, nel separare le situazioni di
carattere condominiale da quelle di carattere individuale del singolo
condomino e soltanto in ordine alle prime l’amministratore è
legittimato a esercitare le funzioni di rappresentanza.
L’art.
1131 c.c. indica altre fonti del potere di rappresentanza
dell’amministratore, sulle quali è bene soffermarsi. Tali fonti
consistono nel regolamento di condominio e nella delibera
dell’assemblea: la loro funzione è di fare aumentare i poteri già
spettanti all’Amministratore e quindi di superare i limiti delle
attribuzioni stabilite dall’art. 1130 c.c.
Va
osservato che l’Amministratore nell’ambito delle sue attribuzioni può
stipulare un contratto con i terzi o promuovere in via autonoma un
giudizio nei loro confronti senza alcuna autorizzazione da parte
dell’assemblea condominiale.
L’art.
1131 c.c. è una norma inderogabile, come risulta dall’ultimo comma
dell’art. 1138 c.c., per cui un regolamento di condominio non può
sottrarre all’Amministratore i poteri minimi di rappresentanza
sostanziale e processuale. La deroga ai poteri di rappresentanza
dell’Amministratore non può essere disposta neppure dall’assemblea
dei partecipanti al condominio, se non per voto unanime.
Rappresentanza
sostanziale
In
via preliminare è necessario osservare che la rappresentanza, come viene
disciplinata dal codice civile, implica il conferimento da parte del
rappresentato al rappresentante della procura ad agire (art. 1392 c.c.),
che può essere espressa o tacita in relazione a comportamenti
concludenti.
Secondo
l’indirizzo prevalente in dottrina e univoco in giurisprudenza
l’amministratore non può considerarsi un organo del condominio, ma
piuttosto un mandatario. Questa qualificazione discende dalla concezione
del condominio come ente sprovvisto di personalità giuridica, sicché è
da ravvisare un rapporto di rappresentanza volontaria conseguente a un
mandato collettivo (Cass. n. 1720/1981).
Ciò
che tuttavia si richiede è la spendita del nome del condominio, nel senso
che l’amministratore è tenuto ad indicare che agisce nella sua qualità
e non in proprio. La spendita del nome non richiede formule specifiche o
particolari, essendo sufficiente che risulti la qualità di amministratore
o comunque emergano elementi per ricondurre l’atto all’Amministratore
(ad esempio l’intestazione del contratto).
La
rappresentanza processuale
L’art.
1131 c.c. riconosce all’amministratore la rappresentanza sostanziale del
condominio nonché la rappresentanza processuale dei partecipanti al
condominio entro i limiti delle attribuzioni connesse all’incarico o dei
maggiori poteri conferiti dal regolamento di condominio o
dall’assemblea.
Il
potere di iniziativa processuale dell’amministratore, si esplica entro i
limiti delineati dall’art. 1131 c.c. e si estrinseca nella possibilità
di agire e di essere convenuto in giudizio per il condominio.
L’art.
1131, II° co., c.c. dispone che l’amministratore “può essere
convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni e
che allo stesso possono essere notificati i provvedimenti dell’autorità
amministrativa che si riferiscono al medesimo oggetto”.
L’amministratore
di un edificio in condominio, anche se cessato dalla carica per scadenza
del termine di cui all’art. 1129 c.c. o perché dimissionario, continua
ad esercitare i suoi poteri, compresa la rappresentanza in giudizio, finché
non sia sostituito con la nomina di altro amministratore. Con la nomina
del nuovo amministratore viene meno il potere di iniziativa processuale
del soggetto investito in precedenza della carica, per cui è stato deciso
che se alla data di proposizione del ricorso per Cassazione
l’amministratore, che abbia conferito al difensore la relativa procura,
risulti cessato dalla carica e sostituito con altro soggetto, la
concessione del mandato al procuratore è senza effetti e il gravame
proposto è inammissibile, perché proveniente da soggetto non legittimato
(Cass. n. 739/1988).
La
legittimazione attiva
Nell’ambito
della rappresentanza processuale, il profilo attivo di essa, si configura
nella possibilità di agire in giudizio contro i condomini e i terzi. La
legittimazione attiva a favore dell’amministratore è ovvia considerato
che essendo lo stesso abilitato a svolgere attività connaturali alla sua
funzione, è, altresì, autorizzato ad esercitare le azioni giudiziarie
volte all’assolvimento del suo compito.
L’amministratore
pertanto nell’ambito delle sue attribuzioni può agire in sede
giudiziaria senza necessità di alcuna autorizzazione da parte
dell’assemblea. Qualora l’oggetto della causa ecceda i limiti delle
attribuzioni dell’amministratore, il potere di rappresentanza
processuale è escluso, a meno che nel verbale dell’assemblea
condominiale non risulti lo specifico mandato a favore
dell’amministratore. Anche in questo caso tuttavia deve trattarsi di
controversie attinenti alle cose o servizi comuni.
Se
l’oggetto della lite riguarda diritti od obblighi esclusivi dei singoli
condomini, ugualmente è escluso il potere di rappresentanza processuale
dell’Amministratore. I singoli condomini tuttavia possono conferire
mandato espresso all’Amministratore in forma scritta, che può essere
contenuto anche in un verbale condominiale sottoscritto individualmente da
ciascun mandante (Cass., n. 4623/1984; Cass. n. 869/1981).
La
legittimazione passiva
In
quanto legittimato attivamente, l’amministratore può essere convenuto
in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni
dell’edificio (art. 1131, comma 2° c.c.).
La
legittimazione passiva così delineata ha carattere generale, non essendo
limitata alle attribuzioni conferite all’amministratore dall’art. 1130
c.c. e abbracciando ogni azione. Tale legittimazione deriva direttamente
dalla legge e non ha alcuna rilevanza l’autorizzazione da parte
dell’assemblea. Limitazioni alla legittimazione passiva
dell’amministratore non possono essere contenute in un regolamento
condominiale, anche contrattuale, come quelle che impongono una
maggioranza qualificata ai fini dell’adozione di delibera assembleare di
autorizzazione, in quanto l’art. 1138, ultimo comma, c.c. prevede che le
norme regolamentari non possono derogare alle disposizioni, di cui
all’art. 1131 c.c. (Cass. n. 1047/1970).
Il
limite, che la legittimazione passiva dell’Amministratore incontra, è
costituito dal fatto che la controversia deve riguardare le parti comuni
dell’edificio, essendo chiaro che se la lite si riferisce a interessi
individuali dei singoli condomini, la domanda deve essere rivolta nei
confronti di questi ultimi.
LA
RESPONSABILITÀ DELL’AMMINISTRATORE
La
responsabilità contrattuale
L’amministratore
deve adempiere ai propri doveri con precisione, scrupolo ed oculatezza
come si richiede all’uomo saggio e prudente; deve pertanto,
nell’esercizio delle sue funzioni, quale rappresentante dei condomini,
indirizzare la propria attività alla tutela degli interessi del gruppo,
nei cui confronti è responsabile dei danni derivati dalla violazione dei
propri doveri (Cass. n. 859/81).
Il
riferimento del legislatore alla diligenza del buon padre di famiglia
costituisce un criterio di carattere generale, che deve essere tuttavia
accertato nel caso concreto di volta in volta con riferimento alle singole
attribuzioni dell’amministratore.
La
colpa è esclusa, quando si verifica il caso fortuito o di forza maggiore,
assolutamente non prevedibile o evitabile. Del pari non si può parlare di
colpa, quando l’Amministratore si è comportato usando la normale
prudenza e diligenza e ha rispettato le norme di legge e di regolamento.
La
colpa dell’amministratore viene valutata con minore rigore ai sensi
dell’art. 1710 c.c. nel caso di incarico gratuito, il che viene
giustificato con riguardo alla posizione del mandatario, sul quale non
sarebbe giusto fare carico di una colpa di entità trascurabile
nell’esecuzione di un incarico prestato per amichevole favore (Cass. n.
2200/80). Tuttavia anche in questa ipotesi qualora sia accertata la colpa
dell’amministratore, costui deve rispondere dell’intero danno sofferto
dal mandante, che sia conseguenza immediata e diretta
dell’inadempimento.
La
responsabilità extracontrattuale
L’art.
2043 c.c., che costituisce la norma fondamentale nel sistema della
responsabilità extracontrattuale, stabilisce i requisiti e le condizioni
necessarie perché una condotta possa qualificarsi illecita dal punto di
vista civilistico. E’ necessaria l’esistenza di un fatto colposo o
doloso, non potendosi concepire una responsabilità svincolata da un
processo volitivo, se non nei casi espressamente previsti (fattispecie
della responsabilità oggettiva).
Occorre
poi che la condotta cagioni un danno ingiusto, il cui ambito da recenti
indirizzi viene sempre più ampliato con il riconoscimento di nuove figure
di diritti soggettivi (diritto alla riservatezza, identità personale
ecc.). Altro elemento è costituito dal nesso di causalità tra condotta
del soggetto e la lesione del bene.
La
responsabilità penale
L’amministratore,
oltre che in una responsabilità civile, può incorrere in una
responsabilità penale, quando nell’esercizio delle sue funzioni
commetta dei reati.
Sulle
caratteristiche generali della responsabilità penale nell’ambito
condominiale, non si rilevano differenze rispetto alla disciplina dettata
dal legislatore penale. Le particolarità del soggetto attivo,
identificabile nell’amministratore del condominio, non sono tali da far
elaborare un diritto speciale condominiale di carattere penale.
In
sede giurisprudenziale si è discusso soprattutto dell’avviso di
convocazione dell’assemblea del condominio redatto
dall’amministratore, il cui contenuto viene pubblicizzato tramite
affissione nell’atrio dell’edificio condominiale. In relazione a tale
fattispecie è stato deciso che l’avviso, contenente all’ordine del
giorno la comunicazione che un condomino era stato denunciato
dall’amministratore e quindi indiziato di reità, costituisce
comunicazione a più persone e integra il delitto di diffamazione, in
quanto anche persone estranee al condominio possono venire a conoscenza,
della qualità di indiziato di un condomino (Cass. pen. n. 4562/1973).
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